Appena poche settimane fa Andrea Lanfri è salito alla ribalta rendendosi protagonista di un’impresa senza tempo: l’eco di questa memorabile scalata riecheggia ancora fra gli altopiani nepalesi.
Alpinismo
di Paolo Sinacore
@bigshotpaul
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Andrea Lanfri: sul tetto del mondo
Percepire la portata di un’impresa sportiva non è sempre automatico per chi non segue e non conosce nello specifico una determinata disciplina. Ma quando si parla di Alpinismo, è facile provare empatia e immedesimarsi con chi si cimenta in gesta apparentemente impossibili.
Raggiungere la cima dell’Everest, la più alta del pianeta (8.848 metri), è un’ossessione che ha accompagnato l’umanità nel corso dell’ultimo secolo; la prova definitiva per testare i propri limiti. Il traguardo è stato raggiunto per la prima volta solo nel 1953 dal neozelandese Edmund Hillary e dallo sherpa Tenzing Norgay, e poco importa se al giorno d’oggi in alcuni periodi dell’anno le spedizioni sono molto comuni e affollate: chiunque riesca a completare questa ascesa, celestiale e demoniaca (in tanti ci hanno lasciato la pelle) allo stesso tempo, merita il massimo rispetto.
In questo albo (magari non più così ristretto) si è iscritto il 13 maggio scorso il lucchese Andrea Lanfri, che ha coperto i quasi 9 km in verticale con la guida alpina Luca Montanari e gli sherpa Mingma Eba e Lakpa a supporto. Un aspetto però fondamentale rende questa scalata unica nel suo genere: Andrea è il primo pluriamputato a raggiungere la tanto agognata vetta. Quando infatti Lanfri descrive quella sensazione inebriante come quella di “toccare il cielo con tre dita”, non sta usando un eufemismo: nel 2015, a seguito di un attacco di meningite fulminante, l’allora 29enne perse sette dita delle mani. A questo si aggiunse l’amputazione di entrambe le gambe, e il devastante quadro generale della situazione ci appare in tutta la sua tragicità.
Eppure quello che ai più potrebbe sembrare un ostacolo insormontabile, diventa di fatto il trampolino di lancio nella carriera sportiva di Lanfri. Il toscano entra prepotentemente nel mondo dell’atletica paralimpica, togliendosi non poche soddisfazioni: tre medaglie europee e una mondiale, oltre al record italiano di categoria per ogni distanza (100, 200 e 400 m). Nel 2017 entra a far parte di Art4Sport, associazione che prende ispirazione dalla storia di Bebe Vio, e che promuove appunto lo sviluppo nel campo delle protesi nell’ambito sportivo.
Nel frattempo il vecchio amore per l’arrampicata libera prende il sopravvento, cominciando così di fatto il percorso che lo porterà in cima al mondo cinque anni più tardi. Il primo approccio al massiccio Himalyano è nel 2019, fino alla decisione di osare sin dove nemmeno le aquile osano. Le avversità sul tragitto dei quattro, partiti dall’Italia il 23 marzo, non sono state ovviamente poche: dopo l’iniziale periodo di acclimatamento tra i 5000 e i 7000 metri, le bizzarrie del meteo hanno fatto più volte rinviare la salita finale, fino a quando, il 9 maggio, un lieve miglioramento delle condizioni ha convinto anche gli sherpa a rompere il ghiaccio e partire verso la celeberrima quota 8848. E sempre di rompere il ghiaccio (stavolta letteralmente) si è trattato quando, in fase di discesa, Andrea è stato costretto a pulire le protesi parzialmente congelate.
In fin dei conti, tutti piccoli intoppi lungo il sentiero che un sopravvissuto come Lanfri ha intrapreso dopo quel nefasto gennaio del 2015. Per molti sarebbe potuto essere l’inizio della fine; per lui è stato invece l’inizio di qualcosa di stupendo.
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