C’è stato un tempo in cui la Serie A era di gran lunga il campionato più seguito e apprezzato d’Europa, in cui i migliori giocatori del mondo venivano a misurarsi.
E di tanto in tanto poteva addirittura capitare che una squadra a sud di Torino vincesse il campionato, impresa riuscita alla Roma esattamente 21 anni fa.


Calcio
di Paolo Sinacore

@bigshotpaul

L’ultimo Scudetto capitolino



È il 17 giugno del 2001, e la Roma si è appena laureata Campione d’Italia. La notizia è senza dubbio clamorosa, visto che si tratta solo del terzo Scudetto della sua storia. Quello che nessuno può prevedere all’epoca è che quel trionfo rappresenta ancora oggi l’ultima vittoria in campionato di una squadra diversa da Milan, Juventus, e Inter


Credits | Archivio Storico AS Roma

La genesi di quel capolavoro firmato Fabio Capello si manifesta il 14 maggio di un anno prima: Sergio Cragnotti corona il sogno di portare lo scudetto in casa Lazio dopo un digiuno di 26 anni, completando un percorso di crescita travolgente che ha visto i biancocelesti diventare una big del calcio europeo nell’arco di soli cinque anni. Il dirimpettaio giallorosso di Cragnotti, il presidente Franco Sensi, dopo stagioni di “vorrei ma non posso” vissute all’ombra della Lazio, e caratterizzate da acquisti rivelatisi a posteriori errati, azzanna la sessione estiva del calciomercato come mai fatto prima d’ora. La spinta emotiva di una fan base frustrata, delusa, e arrabbiata come quella dei tifosi romanisti, convince Sensi a investire pesantemente, non lasciando spazio a eventuali errori: in poche settimane la Roma annuncia Zebina, Samuel, Emerson, e soprattutto Gabriel Omar Batistuta, accolto in maniera trionfale dalla tifoseria. Anche se aleggia qualche incertezza sull’adattamento alla serie A (all’epoca universalmente riconosciuta come miglior lega calcistica al mondo) di Emerson e Samuel, l’acquisto di Batistuta è un segnale che non lascia dubbi sulle intenzioni bellicose della Roma. La prima deludente campagna di Fabio Capello sulla panchina dei capitolini, conclusasi pochi mesi prima con un mediocre 6° posto, è già un lontano ricordo. Nei famosi anni ruggenti delle sette sorelle (Milan, Juventus, Inter, Lazio, Roma, Fiorentina, Parma), ai nastri di partenza non può essere trascurata la candidatura di nessuna delle pretendenti al titolo. Eppure le quotazioni della Roma, che nel corso del decennio precedente non è mai andata oltre il quarto posto raggiunto nel 1998 con Zdenek Zeman in panchina, sono indubbiamente quelle in maggiore risalita.

Il primo approccio non è però dei più entusiasmanti, anzi. Gli Europei appena conclusi in estate con l’amara sconfitta dell’Italia in finale contro la Francia, hanno fatto slittare l’inizio delle ostilità a ottobre. Una piccola ma significativa preview di quello che attende gli appassionati è rappresentata dagli ottavi di Coppa Italia, che all’epoca si svolgono tra andata e ritorno nella seconda metà di settembre. Le pretendenti al titolo si mettono in mostra, e quasi tutte superano il turno in scioltezza. Le uniche a soccombere sono sorprendentemente la Juventus di Carlo Ancelotti (contro il Brescia) e la Roma, che fallisce malamente il primo appuntamento della stagione subendo un roboante 4-2 dalla neopromossa Atalanta di mister Vavassori nella decisiva gara di ritorno. Come dicevamo prima, l’effervescente clima che si respira in città dovuto al tricolore vinto dalla Lazio e alimentato dalle aspettative di un mercato a 5 stelle, non permette un singolo passo falso: due giorni dopo la debacle di coppa, i tifosi infuriati prendono d’assalto il centro sportivo di Trigoria, danneggiando le macchine di molti giocatori (fra cui quella di Cafu, che in quei giorni riflette su un possibile addio). Gli anni più tossici del tifo organizzato hanno portato a un livello di esasperazione inconcepibile, e quella caotica mattinata di fine settembre ne è una triste dimostrazione.

Per capire se la sconfitta di Bergamo sia un segnale nefasto o un semplice incidente di percorso, bastano poche settimane: il calendario benevolo fa sì che nelle prime 8 partite arrivino 7 vittorie e una sola sconfitta (contro l’Inter), con i giallorossi che dimostrano da subito di essere la squadra con meno passi falsi lungo il percorso rispetto alle altre contendenti. La maturazione di Francesco Totti, l’impatto di Batistuta in zona gol, la cattiveria di Walter Samuel, l’efficacia di Marco Delvecchio reinventato laterale sinistro: i tasselli che si uniscono e compongono pian piano il mosaico immaginato da Capello, sono tanti piccoli segnali di come questa possa essere veramente l’annata giusta. La rocambolesca vittoria nel famoso derby del 17 dicembre, deciso dall’iconico autogol di Paolo Negro, conferma il dominio della Roma, che arriva al break invernale con 6 punti di vantaggio sulla Juventus, sua inseguitrice più immediata. Al ritorno dalla pausa la dimostrazione di forza (0-2) sul campo dell’Atalanta, vera rivelazione del campionato sino a quel momento, è quasi simbolica: l’eliminazione in Coppa Italia di settembre, e la ferita ancora aperta della violenta contestazione, diventano improvvisamente un capitolo chiuso.
 
 Credits | Archivio Storico AS Roma

Ulteriore benzina nel serbatoio giallorosso la aggiunge il rientro dall’infortunio di Emerson, che in poche settimane prende possesso del centrocampo dissipando qualsiasi dubbio d’inizio stagione sul suo valore. Fabio Capello e i suoi sembrano insomma veleggiare senza veri rivali, e anche se la Lazio di Sven Goran Eriksson nel girone di ritorno pare essere tornata ai fasti della stagione precedente, il vantaggio della Roma sulla Juventus e sui biancocelesti arriva rispettivamente a 9 e 12 punti, con sole 10 partite ancora da giocare. In quegli anni, però, è ampiamente sconsigliato abbassare la guardia: ancora fresco è il ricordo delle pirotecniche rimonte di Milan e Lazio nelle ultime giornate delle precedenti due stagioni di serie A, entrambe coronate dal successo finale.
Intravedendo il calendario, appare evidente che la settimana che va dal 29 aprile al 6 maggio è il vero grande scoglio da superare per vedere finalmente realizzati i sogni di gloria: prima il derby, poi la trasferta di Torino contro la Juventus. Alla Roma in definitiva basterebbe vincere la stracittadina di fine aprile per mettere sufficiente spazio fra lei e le inseguitrici. La partita è probabilmente la più esaltante di tutto il girone di ritorno, e un grande inizio di secondo tempo segnato dai gol di Batistuta e Delvecchio sembrerebbe mettere la parola fine a ogni velleità dei biancocelesti. Ma anche in una stagione apparentemente perfetta, può capitare che i fantasmi del passato si facciano vivi nel momento meno opportuno. A 12 minuti dalla fine Pavel Nedved accorcia le distanze; i giallorossi a questo punto entrano in un buco nero di insicurezze e paure che pare cambiare il corso del campionato. Il pareggio di Lucas Castroman al 95° fa da prologo allo scioccante inizio del big match di Torino, con Del Piero e Zidane che bucano Antonioli due volte nei primi 6 minuti della contesa. Facendo un rapido calcolo, a cavallo dei due match decisivi per l’assegnazione dello scudetto, la Roma ha subito 4 gol nell’arco di 23 minuti di gioco.
I bianconeri sembrano quasi divertirsi, tanto che il 3 a 0 sarebbe la logica conseguenza al predominio dei padroni di casa. Eppure gli uomini di Fabio Capello reggono il colpo, non crollano, e aspettano il momento giusto per resuscitare dalle ceneri di quel funereo inizio partita. Il mister toglie dal campo un abulico Totti, e affida la trequarti a Hidetoshi Nakata. È la mossa che rimette la storia sui binari della Roma: prima un gran gol del giapponese, poi il tap in di Vincenzo Montella nei minuti di recupero. La rimonta è completata, gli avversari restano a distanza di sicurezza.
Può cominciare così l’ultimo sprint, l’ultima parte di una cavalcata che ha visto la Roma solitaria in vetta dalla sesta giornata di campionato fino alla trentaquattresima. Un monologo che si concede giusto qualche pausa, come quando la paura di vincere la fa da padrona contro il Napoli penultimo, rinviando la festa scudetto a quel famoso 17 giugno del 2001. La partita col Parma è più che altro un’esibizione, una passerella, e si conclude con la prevedibile invasione di campo dei tifosi festanti.

 
Credits | Archivio Storico AS Roma

In quel momento la Roma scuciva in senso figurato lo Scudetto dal petto dei cugini laziali, un’eventualità ancora più straordinaria pensando al fatto che dal 1970 in poi solo la Sampdoria nel 1991 era succeduta a una squadra diversa dal trio del nord (nell’occasione, il Napoli). Purtroppo il trend quasi tragicomico del calcio italiano va di pari passo con una competitività sempre più livellata verso il basso, con poche vere contendenti al titolo; nello specifico, sempre le solite tre.
Se fino agli anni ’80 e ’90 la possibilità di assistere a scudetti sorprendenti (Verona, Sampdoria, Napoli, Roma, Lazio) era sempre dietro l’angolo, dal 2001 la Juventus ne ha messi in cascina 11, l’Inter 6, il Milan 3, senza imprevedibili colpi di scena da ricordare. Una supremazia strisciata lunga ventuno anni che, a prescindere dalla gloriosa storia di questi club, non si era ancora vista in precedenza: mai erano passati più di 8 anni tra un successo e l’altro di squadre di seconda fascia. Inoltre Calciopoli, più che mischiare le carte, ha di fatto segnato l’avvento di un interregno nerazzurro, specchietto per le allodole che ha anticipato il ritorno della Juventus al vertice.
Le Coppe europee, un tempo terreno di conquista per le compagini italiane (13 successi totali tra Coppa dei Campioni, Coppa Uefa e Coppa delle Coppe negli anni ’90), sono diventate il termometro della profonda crisi che attanaglia il nostro calcio: dal 1999 sono solo 4 le vittorie da segnalare, tra cui quella recentissima della Roma nella neonata Conference League che ha interrotto un digiuno lungo 12 anni.
È forse troppo sperare di rivivere un periodo anche solo lontanamente paragonabile a quello delle sette sorelle, sublimato dal trionfo giallorosso del 2001; di sicuro c’è che una nuova contendente che metta anche solo in dubbio l’egemonia del nord potrebbe invertire la traballante rotta del calcio italiano, e ridare linfa a un movimento alla disperata ricerca di vecchie emozioni.


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