A seguito di questo magico periodo che sta riportando in auge la pallavolo maschile italiana, l’imminente percorso di avvicinamento alle Olimpiadi parigine del 2024 rischia di far riaffiorare in superficie vecchi fantasmi del passato.

Volley
di Paolo Sinacore

@bigshotpaul

La Maledizione a Cinque Cerchi



È il 4 agosto del 1996, e all’Omni Coliseum di Atlanta sta per iniziare la finale Olimpica del torneo di pallavolo maschile tra Italia e Olanda. Un appuntamento bramato ardentemente dagli azzurri da quando hanno cominciato a imporsi come dominatori del volley mondiale. C’è un riferimento preciso, un’altra storica data da cui parte questa inesorabile e rapidissima scalata: il 1 ottobre del 1989 l’Italia batte 3-1 la Svezia a Stoccolma, laureandosi per la prima volta Campione d’Europa.


Credits | Archivio Storico FIPAV

Si tratta del primo titolo internazionale nella storia fino a quel momento tutt’altro che gloriosa della nazionale, nella cui bacheca a quel tempo figurano l’argento mondiale nel 1978 e il bronzo olimpico del 1984; due traguardi importanti, eppure isolati rispetto ai veri progressi di un movimento che sicuramente cresce, ma che stenta a decollare. L’impresa nel mondiale di casa del 1978, agli ordini di coach Carmelo Pittera, viene vissuta come una favola isolata, una splendida storia da raccontare e poco più: una rondine, insomma, non fa primavera. Eppure, oltre 10 anni dopo, ecco che gli uomini del nuovo allenatore Julio Velasco, fresco vincitore di 4 scudetti consecutivi con la Panini Modena dei record, si prendono il gradino più alto del podio in quel di Stoccolma. Stavolta non cambia solo il colore della medaglia al collo: è evidente ai più che il manipolo di giocatori da cui può attingere Velasco è una vera e propria generazione di fenomeni, destinata a imperversare negli anni a venire. Ai suoi ordini un gruppo di campionissimi, molti dei quali – Cantagalli, Lucchetta e Bernardi, fra gli altri – già pilastri della sua strabiliante Panini di fine anni ’80.

Inizia l’epoca d’oro di una delle più grandi nazionali di tutti i tempi, contrassegnata da un ruolino di marcia deprimente per gli avversari: nelle competizioni internazionali più importanti dal 1989 al 1995, l’Italia arriva in finale in 11 occasioni su 13; di queste 11 finali, ne vince addirittura 10 (unica sconfitta contro l’URSS agli europei del 1991). Il regno dorato degli azzurri subisce una vera, sola importante battuta d’arresto, quando ai quarti della manifestazione a cinque cerchi del 1992 a Barcellona, esce per mano di un’altra giovane nazionale in rampa di lancio, l’Olanda di Arie Selinger, che si impone col punteggio di 3 set a 2. Quello che può sembrare un ostacolo quasi trascurabile nella magnifica galoppata azzurra di quegli anni, è solo il primo dei tarli che provvederanno a rodere le granitiche certezze di quel gruppo di campioni.

Per capire meglio quale sventura si sta per abbattere sull’Italia, è bene concentrarsi sui suoi rivali più agguerriti. Gli olandesi dei primi anni ’90 sono tutto fuorché un fuoco di paglia stile Spagna 2007 (ricordate? Campioni d’Europa in Russia, unico podio mai raggiunto a livello internazionale); gli Orange, d’altro canto, hanno raccolto i frutti di una programmazione certosina che Selinger ha messo in piedi nelle stagioni precedenti. I sette podi raggiunti dal 1989 al 1995 (5 argenti e 2 bronzi) ne certificano l’ingresso nell’elite mondiale, ma sottolineano anche quella che pare essere l’unica grande sfortuna di una nazionale emergente come la loro: quella di aver trovato sul proprio cammino un’altra nazionale emergente, per giunta molto più forte. Il braccio di ferro fra queste due compagini regala tanto spettacolo, ma – se si esclude il già citato quarto di finale a Barcellona ’92 – riserva poche sorprese. In 22 incontri ufficiali, dalla semifinale degli Europei 1989 al girone di qualificazione della World League 1996, il bilancio racconta di 20 vittorie italiane a fronte di soli 2 successi dei Paesi Bassi. Nello specifico, quella World League pare ai più un allenamento in vista del torneo olimpico che tutti si apprestano ad affrontare di lì a poche settimane. Eppure, col senno di poi, rappresenterà l’altro tassello decisivo nel mosaico di insicurezze azzurre. La finale vede di fronte – manco a dirlo – i padroni di casa dell’Olanda e l’Italia, che per la quinta volta si sfidano nell’atto conclusivo di una manifestazione: nei quattro precedenti, l’ha sempre spuntata l’Italia. Stavolta gli Orange scappano sul 2-0, ma l’Italia rimette in piedi tutto portando il match al quinto e decisivo set; dopo un pirotecnico tie-break chiuso sul 22-20, la squadra dI coach Joop Alberda può finalmente togliersi lo sfizio di battere i campioni d’Europa e del Mondo in carica. È il 29 giugno, appena 36 giorni prima di un’altra finale, ben più importante.

Nel mezzo gli sviluppi del torneo olimpico raccontano di un imbarazzante dominio italiano; la nazionale di Velasco chiude il primo girone senza lasciare neanche un set agli avversari. Tra le vittime sacrificali risultano Yugoslavia, Russia e la stessa Olanda, tutte squadre che comporranno il quadro delle semifinali qualche giorno dopo. In particolare il match con i rivali olandesi pare essere un chiaro segnale in risposta alla partita di Rotterdam: agli avversari vengono concessi solo 8 punti sia nel primo che nel secondo set; lo shock del tie-break di Rotterdam perso a quota 22 sembra essere un lontano ricordo. La fase ad eliminazione diretta prosegue sulla falsa riga di quella precedente: quarti e semi sono poco più che una formalità per Italia e Olanda, che possono così concludere quel discorso iniziato un mese prima in quel lunghissimo tie-break. Quello che Velasco non può sapere, è che probabilmente quel discorso va avanti da molto prima, e cioè dal quarto di finale giocato quattro anni prima in terra catalana. Paure e dubbi offuscano le menti dei giocatori azzurri, alimentando invece la sfrontatezza del fortissimo sestetto di coach Alberda: Van Der Meulen e Van de Goor sono le punte di diamante dell’oliata macchina olandese, orchestrata da un ispirato Blangé. L’Italia per ben due volte è costretta a recuperare il set di svantaggio, portando la contesa a quel nefasto quinto set, già fatale in più occasioni contro lo stesso avversario. L’inerzia del quarto set vinto 15 a 9 non è sufficiente a dare una spallata decisiva: il quinto parziale si gioca punto a punto, e si arriva inesorabilmente ai vantaggi, tanto indigesti agli azzurri. Il primo match point degli olandesi viene annullato da un muro fuori di Bernardi, mentre tocca a Van De Goor cancellare quella che sarà l’unica palla match azzurra sul 15-14. In quel frangente, infatti, l’Italia paga il salatissimo dazio di quegli scomodi precedenti, e l’Olanda si erge così ad autentica bestia nera degli azzurri. L’ultimo attacco di Andrea Giani passa oltre l’asticella, sancendo così la vittoria degli uomini in maglia arancione col punteggio di 17 a 15


Credits | Getty Images

Con la successiva vittoria dell’Europeo nel 1997, gli olandesi chiuderanno un anno solare senza precedenti, con World League, Olimpiadi ed Europei conquistati in rapida successione; ad oggi restano gli unici trofei della loro storia, che hanno fatto da anteprima a un altrettanto rapido declino a livello internazionale. L’Italia post Velasco, invece, continuerà comunque a vincere (Oro ai Mondiali 1998, oltre agli Europei 2003 e 2005), e si porterà al collo altre 4 medaglie olimpiche (2 argenti e 2 bronzi) dal 2000 al 2016; quel boccone amaro, però, è ancora oggi difficile da digerire. Il mancato coronamento, nella manifestazione più importante, del talento di una generazione apparentemente irripetibile, resta un colpo al cuore degli appassionati. Una grandissima occasione persa, ma - probabilmente - non l’ultima: il nuovo corso di Ferdinando De Giorgi ha già portato in dote un Europeo e un Mondiale nell’arco di un anno, mettendo fine a un digiuno che, per quanto riguarda il gradino più alto del podio, andava avanti da ben 16 anni. L’età media relativamente molto giovane del gruppo a disposizione di Fefè è un altro segnale che induce all’ottimismo. Guai, però, a esagerare con le aspettative: il rischio di una “nuova Olanda” pronta a mettere i bastoni fra le ruote è sempre dietro l’angolo.


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